Categorie
Comunicati

Cosa c’è di sbagliato in Anonymous for the Voiceless (tutto)

Premessa 
Anonymous for the Voiceless (d’ora in poi AV) ha costituito e costituisce il primo approccio al veganismo e all’attivismo per molte persone che si avvicinano a questo mondo. Purtroppo questo ha spesso portato ad un inquinamento e ad un rallentamento della lotta antispecista.
Già anni fa erano state fatte emergere tutte le problematicità dell’associazione, ma non erano mai state raccolte in lingua italiana. Inoltre riprendere il discorso diventa una necessità perché, come vedremo più avanti, parlare di AV significa far luce sul danno che questo reca alla causa. 

Nonostante il focus del contenuto di questo scritto si concentri su AV, è importante premettere che questo non è un problema a sè stante, e che ci sono molte altre associazioni che danneggiano il percorso verso la Liberazione Animale e che meritano di essere messe sotto critica. Tuttavia, parlare di AV ci permette di rivedere alcune devianze che la lotta antispecista ha incontrato negli ultimi decenni. 
Alcune persone che hanno contribuito a questo testo sono stat* all’interno di AV Italia per circa 2 anni, fino alla scissione del febbraio 2020. Qualcuna di loro invece è uscita dall’associazione solo recentemente. Quanto scritto è quindi anche frutto delle esperienze personali di chi ha messo mano su questo testo.
Vogliamo mettere in chiaro sin da subito che questa non vuole essere l’inizio di un’ennesima “guerra digitale”, bensì un‘analisi il più completa possibile, che riporti i fatti più rilevanti per chiarire i motivi per cui AV e associazioni simili siano in antitesi con la lotta antispecista, tra cui la continua pratica del ridurre il veganismo ad una mera azione consumista completamente slegata dal sistema in cui lo specismo si è evoluto, oltre tutte una serie di problematiche che verranno riportate in seguito. 
Il testo vuole fare luce sui motivi che hanno portato alla frattura  accaduta a febbraio 2020. Ragioni che sono importanti da ribadire e da ricordare. Inoltre a fine testo sono consultabili risorse per approfondire ulteriormente l’argomento.
La scissione del 2020 costituisce un’esplosione che slancia molte persone verso un percorso di lotta politicizzato ed intersezionale, o perlomeno verso una consapevolezza diversa.  Le critiche ad AV non vogliono creare disagio e spaccature fini a se stesse, quel lavoro di divisione lo lasciamo ad altr*. Certo, la questione causerà degli attriti come già successo in passato, ma un percorso politico deve necessariamente avere attriti per poter migliorare.
Per poter raccontare più chiaramente i fatti che hanno coinvolto questa sigla sarebbe più corretto e lineare ripercorrere cronologicamente i momenti salienti, partendo dalla sua fondazione. È essenziale riportare le dichiarazioni e le posizioni che AV ha preso in passato, specialmente tramite il “portavoce” Paul Bashir, che insieme ad altr* della sua cerchia ha di fatto modellato AV secondo i propri valori. 

Anonymous for the Voiceless non sposa nessun credo politico e si dichiara “apolitico”, posizionandosi in una zona di ambiguità e di “neutralità” nei confronti delle lotte umane, condannando l’approccio intersezionale. Questo perché “non ci si può occupare di ogni lotta sociale allo stesso tempo“. Constatazione che di per sé sembrerebbe logica e condivisibile. Il problema è quando questa viene strumentalizzata per continuare a stagnare nella bolla apolitica di un veganismo consumista, oltre che sminuire le intersezioni tra l’antispecismo e le altre lotte, rimanendo di conseguenza in una zona di comfort che verrebbe altrimenti destabilizzata.
AV ed i suoi fondatori sono quindi al centro della critica, ma questo non significa che il presente scritto sia un attacco diretto a tutte le persone che ne fanno parte. Le persone di un gruppo non sono esseri monolitici e hanno esperienze e idee diverse, a meno che non si parli di una setta. Sarebbe superficiale etichettare le persone che fanno attivismo con AV o inserirle tutte sotto la stessa categoria. Non è utile, né corretto, definire ogni attivista con il pensiero e la posizione politica dei principali rappresentanti di AV, e quindi della direzione forgiata da loro; una minoranza. Il fatto che una persona scelga di rimanere in AV non significa necessariamente che sposi ogni singola idea partorita da chi sta ai vertici. 
Tuttavia, non si può negare che scegliere di utilizzare un nome e un logo, come accade in questo caso, significa rappresentare le idee e gli obiettivi del gruppo che porta quel nome e quel logo, e con questo bisogna necessariamente farci i conti.
Nel testo c’è una particolare attenzione a Paul Bashir perché è la persona con più materiale da citare a riguardo, oltre che essere uno di coloro che hanno forgiato i valori fondanti del gruppo e che viene tutt’ora stimato e preso come punto di riferimento all’interno dell’associazione. Si potrebbe parlare anche di altri personaggi con cui Paul ha passato anni all’interno di AV (con cui ha anche condiviso un bel tour vegano in Israele), ma non è il focus del testo. 
Verranno elencati solo alcuni dei punti che andrebbero in realtà affrontati, perché è stato deciso di mantenere una forma da comunicato, e non da dossier, così da alleggerire il testo senza privarlo degli eventi salienti. 
Prima di AV
Per capire meglio il tipo di attivismo su cui si basa AV è necessario indagare sugli elementi che hanno portato alla sua fondazione.
L’idea di Bashir di far partire Anonymous for the Voiceless, e di conseguenza il suo percorso da attivista, nasce dall’incontro con il celebre attivista Gary Yourofsky (G.Y.), [1] con cui è poi nata un’amicizia. È importante parlare di Yourofsky, che è stato colui che ha modellato i valori animalisti di molt*, tra cui quelli di Bashir. Non ci si può esimere dall’analizzare la figura di G.Y. se vogliamo una visione più completa di AV. 
G.Y. è un personaggio con posizionamenti facilmente contestabili che lasciano spazio a poche ambiguità, come ad esempio la rivendicazione della sua fiera misantropia. È usuale per G.Y. identificare il problema dello specismo nel singolo individuo, a cui viene puntato il dito, piuttosto che nei meccanismi sociali ed economici e i capitalisti che ne traggono maggior profitto. In sintesi, il suo attivismo si basa sulla colpevolizzazione di chi consuma, e non di chi produce. Una visione semplicistica che cerca di convincere il singolo che un consumo diverso possa cambiare la società, immobilizzandolo in una comoda logica consumista. 
Inoltre, G.Y. è molto conosciuto nell’ambiente vegan per i suoi speech tenuti in varie università e altri incontri organizzati, e gli viene attribuito il merito di aver reso popolare il veganismo in Israele. Questo punto è fondamentale, perché è il processo che ha portato Israele alla sua campagna di veganwashing, che ha preso piede anche grazie ad un noto gruppo animalista israeliano chiamato Anonymous for the Animal Rights (ora chiamato Animals Now), e che ha foraggiato il processo di “veganizzazione” dell’esercito israeliano. Infatti l’esercito israeliano (IDF,Israelian Defence Forces) vanta di essere l’esercito più vegan al mondo. [2
Sfruttando la compassione e l’etica attribuite al veganismo, Israele tenta di purificare la propria immagine mentre continua a sterminare la popolazione palestinese. [3]

All’inizio di un video ancora reperibile online, Yourofsky rivendica nuovamente la sua misantropia, ma, nonostante sostenga di “odiare tutti gli umani allo stesso modo”, la faccenda cambia se si parla delle persone palestinesi. Per citare G.Y. “il popolo palestinese è il più psicotico del pianeta, […] le persone israeliane vorrebbero la convivenza, mentre le persone palestinesi no”. [4]

 

Quanto dichiarato non solo è completamente falso – e ciò che sta succedendo da più di un mese in Palestina può confermarcelo –, ma sostiene la propaganda sionista, l’occupazione, l’apartheid e la pulizia etnica in atto da più di 70 anni. Credere a questa favola significa azzerare le differenze di forze che esistono tra i due soggetti e giustificare la disgustosa violenza dello Stato sionista, appoggiata ovviamente dalla maggioranza dei governi nazionali, Italia inclusa.
Non si può non menzionare la sua visione patriarcale sulla cultura dello st*pro. Evitiamo di riportare qui la citazione per le parole forti utilizzate, e rimandiamo all’articolo a piè di testo. [5] Secondo G.Y. (e molt* altr*), questa è una violenza che è comunque meno grave e meno violenta rispetto a quello che vivono gli animali non umani. Inoltre si riprende la colpevolizzazione dell’individuo. Queste affermazioni vengono spesso portate avanti da persone privilegiate che vivono lo spazio della società con molta più sicurezza e libertà di movimento rispetto ad altre, e che anziché mettersi in ascolto decidono di aprire la bocca quando non necessario. È estremamente facile fare una classifica delle oppressioni quando non le viviamo direttamente.
La fondazione di Anonymous for the Voiceless
Nel 2016 il primo gruppo di Anonymous for the Voiceless nasce a Melbourne. Il gruppo inizia da subito attingendo a quel tipo di “scuola”: adotta un approccio moralista, consumista, apolitico, monotematico (anche definito come “single-issue“, quindi “solo sugli animali”).
L’associazione si presenta come apolitica, inclusiva ma apertamente non intersezionale. Il coinvolgimento delle persone all’interno dell’associazione non viene precluso per l’appartenenza politica, perché “l’obiettivo sono gli animali”. Il requisito principale è che si tenga una pratica (o alimentazione?) vegan, con qualche riserva sulle persone vegetariane (e queste sono le policy).
Questo ha portato ovviamente ad un’apertura estrema nei confronti di chiunque: machisti, persone razziste, xenofobe, trumpiste e talvolta anche esplicitamente fasciste. L’entrismo da parte di individualità o gruppi neofascisti nei gruppi animalisti sono presenti da oltre un ventennio, [6] e la loro tolleranza in ambito di attivismo per i diritti animali è stata facilitata da associazioni come AV, anche prima della sua esistenza. Non da AV e basta quindi, ma anche da AV.
Qualcun* potrebbe contestare dicendo che in ogni gruppo o associazione possono entrare soggetti pericolosi, discriminanti, abusanti, perché non sempre è facile monitorarli. Perfettamente vero, ma questo accade spesso quando un gruppo non è in grado di delimitare i bisogni di ogni membro, tutelando la sua salute mentale e fisica, e di conseguenza il benessere collettivo. Nel caso di AV non è nell’interesse delle linee guida.
AV è un’associazione gerarchica, apolitica e “inclusiva”.
Apoliticità ed inclusività, in questo caso, permettono l’aggregazione di soggetti di ogni tipo, perché non essendoci una chiara direzione politica non esiste neanche un filtro. In gruppi con una dichiarata posizione intersezionale, per la tutela di tutt* (e non di alcun*), molti soggetti simili evitano l’avvicinamento perché sanno che non sarebbero i benvenuti. Questo vale per molti casi, non per tutti.
La struttura di AV permette a persone discriminanti di poter partecipare, rendendo lo spazio interno meno sicuro e spingendo spesso le persone che subiscono a lasciare i gruppi, piuttosto che il contrario.
L’associazione assicura spesso che le persone discriminanti non sono le benvenute. Ma questo non è vero. Tralasciando per un attimo le chiare violenze interne che sono state insabbiate (se ne parla più avanti nel testo), è bene ricordare che ci sono pensieri, azioni e comportamenti che sono discriminatori ma che non vengono percepiti come tali all’interno del gruppo, o meglio non vengono problematicizzati come dovrebbero perché appartenenti ad un livello secondario di priorità.

Il fascismo di AV (dichiarazioni periodo 2018-2020)
Tra il 2018 e il 2020, Paul ed Asal vanno in scena con varie dichiarazioni che shockano attivist* da tutto il mondo e portano molte persone ad abbandonare l’associazione. [7]
Una delle cose più sconcertanti è stata la stima che Paul Bashir ha riservato per Bachir Gemayel.
Prima di indagare su chi è Gemayel, bisogna specificare che Bashir non è il cognome anagrafico di Paul. [
8] Ma perché è così importante?
Bachir Gemayel (che si pronuncia proprio Bashir) fu un falangista libanese, figlio di Pierre Gemayel (fondatore del partito fascista noto come “Falangi Libanesi”, alleati dello stato d’Israele). Bachir venne ucciso nel 1982 insieme ad altri 26 dirigenti delle “Falangi Libanesi” da parte di milizian* sirian* e palestinesi. 
Dopo la sua morte, il fratello prese il suo posto. Lo stesso anno, le “Falangi Libanesi” organizzarono – approfittando delle condizioni politiche all’epoca favorevoli – una rappresaglia che verrà poi storicamente conosciuta come il “massacro di Sabra e Shatila”, il primo un quartiere di Beirut, e il secondo un campo profughi in cui erano presenti prevalentemente persone palestinesi. Il massacro venne condotto con la complicità dell’esercito israeliano che il giorno prima chiuse le strade e mise soldati in appostamento, per poi presidiare l’area chiusa per tutto lo svolgimento del massacro. Il massacro contò migliaia di vittime, quasi tutte anzian*, bambin* o comunque non combattenti.

Screenshot scattato nel 2020

Nel 2016 Paul pubblica la foto di Bachir Gemayel sul proprio profilo social, foto che viene commentata da un altro attivista: “Abbiamo due cose in comune: il veganismo e la stima per Bachir”. Successivamente Paul rimuove furbamente (ma tardi) la foto in questione. Purtroppo per il nostro eroe ciò che entra su internet, rimane su internet, specialmente se sei un personaggio conosciuto e seguito.
Possiamo dire che Paul abbia deliberatamente scelto il cognome come segno di rispetto nei confronti di Gemayel? Molto probabile. La pubblicazione della foto di Gemayel è una chiara dichiarazione pubblica, e negare ciò diventerebbe complicato.
Testare su* carcerat*
Un’altra sconcertante dichiarazione viene fatta durante il workshop tenuto a Berlino nel 2018, quando Paul ed Asal dichiarano che “piuttosto che testare sugli animali [non umani] bisognerebbe testare sui carcerati: assassini, pedofili, stupratori.” [9]
Così facendo si toccano furbamente tre categorie di carcerat* impossibili da difendere e quindi facilmente strumentalizzabili da chi vuole supportare tale tesi, riproducendo e tenendo in vita l’ideologia del dominio e appiattendo tutte le differenze degli individui. 
Paul, Asal e molte altre persone “animaliste apolitiche” adottano il metodo dello “stato democratico”, ovvero quello della punizione e della vendetta, a prescindere dal background e dal percorso dell’individuo. Non c’è un interesse a smantellare gerarchie e rapporti di dominio, bensì a cambiare il modello di consumo verso un mercato “verde” e plant-based. Di nuovo, l’assetto sociale e l’ideologia del dominio non vengono mai messe in discussione perché di per sé non costituiscono un problema. Non viene mai condannata la violenza in quanto tale, ma la violenza ai danni di soggetti che toccano la propria moralità, in questo caso individui erroneamente considerati “senza voce”.

Un altro personaggio presente in AV era George Martin, noto organizzatore regionale di AV che dichiarò in diretta “Voglio che le femministe marcino insieme agli attivisti per i diritti degli uomini (MRA, men rights activists)”. [10] [11]

 

In soldoni ci si aspetta che le femministe marcino con coloro che negano l’oppressione di genere che subiscono. Asserzione che proviene da uomini che vivono in una società che li tutela e permette loro di esercitare violenze e spesso passare inosservati.
Viviamo in una società che non crede alle vittime di abuso, che giustifica le molestie chiamandole “flirt”, che non permette alle persone socializzate donne di poter camminare in strada senza la paura di essere molestate o assalite sessualmente.
Non solo, manca una totale autocritica nei confronti di chi detiene il privilegio maschile e si pretende che coloro che subiscono direttamente l’oppressione patriarcale mettano le “questioni umane di lato” per poter marciare insieme per gli animali non umani. Constatazione fatta, come nella maggioranza dei casi, da un uomo cis bianco. Questo è quello che viene fatto spesso, minimizzare la sofferenza che non si subisce direttamente e permettersi di mettere parola su quale violenza sia più degna di attenzione. 
Non dimentichiamoci che la cultura patriarcale che si sta ora accennando è la stessa che in questi giorni difende Filippo Turetta, assassino di Giulia Checchetin, e ciò che viene dichiarato per difenderlo (“è un bravo ragazzo”, “parlavamo spesso di sessismo”, “chissà cosa ha fatto lei”…) difende la violenza maschile e la cultura patriarcale, più che Turetta stesso, responsabile dell’ennesimo femminicidio.
AV come azienda
Le “associazioni no-profit” come AV, WWF, Greenpeace, Animal Save etc… sono associazioni che basano la propria forza-lavoro su* volontari*, anche se in teoria non esiste un rapporto lavorativo finalizzato alla produzione e alla vendita. Queste associazioni hanno una cosa in comune: dichiarano di combattere per degli ideali sociali, senza scopo di lucro, ma guadagnando allo stesso tempo sulla manodopera gratuita de* volontar*, facendo leva su etica e moralità, arricchendo i/le dirigenti. Questa visibilità spinge l’associazione ad essere più conosciuta, a vendere più prodotti di merchandising (attraverso l* stess* attivist*) e a ricevere più donazioni.
Consultando il bilancio finanziario del 2020 [12] è possibile notare un costo di 79.844,00 dollari australiani (circa 47.000,00 euro) accanto alla voce “Touring and events costs” [costi per viaggi ed eventi]. Insomma, soldi dell’associazione spesi da Paul, Asal e altr* dirigenti per gli spostamenti verso eventi in giro per il mondo, non solo in Australia. Eventi che, ci permettiamo di dire, non necessitavano in nessun modo della loro presenza. Tra Oceania, America ed Europa, tali soggetti hanno potuto viaggiare anche grazie ai fondi di AV. [13]
Per un periodo molto breve (sempre intorno al 2020) AV dichiarava sul proprio sito web che l’1% delle donazioni annuali sarebbero state devolute a dei rifugi. Oltre al fatto che non esiste traccia di tali movimenti finanziari nei bilanci annuali pubblicati, si vuole evidenziare come l’1% del totale raccolto annualmente, soddisfatte tutte le spese (consultabili sul bilancio finanziario) e diviso il restante per più rifugi (non è mai stato detto quanti rifugi, né quali), si sta parlando di cifre ridicole, o più diplomaticamente parlando, simboliche.
Ma perché è stata tolta questa informazione dal sito ufficiale? Se AV sostiene di essere “un’associazione per i diritti degli animali”, perché prioritizza lo stipendio dei pochi individui ai vertici, piuttosto che supportare realtà che oltre ad avere un ruolo fondamentale nel percorso antispecista, sono spesso in difficoltà economiche?
Questa è una domanda a cui sarebbe interessante ricevere una risposta, fermo restando che non si sta parlando solo dei rifugi in Australia, che potrebbero anche avere accesso a dei fondi nazionali, ma anche a rifugi presenti in altre parti del mondo.
La scissione in Italia: perché e quali conseguenze in Italia
Tra il 2019 e il 2020 AV Italia affronta dei problemi relativi ad alcuni episodi di molestie sessuali da parte di uomini cis nei confronti di alcune compagne.
L’ex RO [Regional Organizer, il punto di riferimento in Italia per intenderci], che avrebbe dovuto gestire la cosa (secondo le policy interne internazionali) ha contribuito a questa violenza minimizzando il danno e dando spazio agli abuser all’interno dei gruppi di attivismo, di cui solo uno fu effettivamente allontanato per pressioni interne al medesimo capitolo di AV.
È bene notare che anche se questa persona si è comportata gravemente in più occasioni, il problema principale è che si è trovata in una realtà che le ha permesso di poter esercitare questo tipo di potere. Difatti gli episodi raccontati non si sono fermati con la scissione, ma hanno continuato a verificarsi anche dopo l’uscita dell’ex RO e di tant* altr* attivist*

Nell’estate del 2023 infatti un altro attivista in AV viene denunciato per maltrattamenti e stalking ai danni di due attiviste. Situazione gestita dall’attuale RO allo stesso modo dell’ex RO. La faccenda è stata messa a tacere dalle persone a lui vicine, e l’attivista è stata spinta ad allontanarsi perché non creduta.

Sentendosi forte e protetto dall’organizzazione è stato libero di ripetere le stesse azioni violente e coercitive su una seconda attivista. È stato infine allontanato dall’organizzazione solo quando non è stato più possibile nascondere l’accaduto.
– attivista anonima 

Nel frattempo anche l’attivista in questione è stata allontanata e accusata di essersi meritata gli abusi subìti. Tutto questo è successo per la totale assenza di coscienza politica e preparazione a queste situazioni; carenza di lavoro di cura; un vuoto di conoscenza sulla cultura del consenso e sul patriarcato e infine una grande dose di menefreghismo, perché tutti argomenti secondari per AV.

In questo modo l’associazione dà spazio alle solite dinamiche della società patriarcale in cui viviamo di avere la meglio sulla sicurezza delle attiviste, e dimostra di non avere gli strumenti o l’interesse per combattere altre forme di abuso nemmeno quando queste si manifestano al suo interno.   
Nonostante più volte AV abbia dato modo di farci capire che fosse problematica, e nonostante critiche interne che sono durate per anni, ciò che ha scatenato la rottura decisiva è stata l’uscita transfobica de* co-founder di AV: “Il genere è biologico, non socialmente costruito”.

Questo ha attivato molte persone, dato che all’interno di AV stesso erano presenti persone trans*. Per la prima volta veniva percepito un attacco diretto da parte di AV contro persone di AV. È certamente triste come tutte le altre critiche siano passate in sordina perché non toccavano direttamente queste persone. Ad esempio, persone all’interno di AV con una certa rilevanza – come l’organizzatore regionale George Martin – avevano pubblicato sui propri profili social che “negavano l’esistenza della violenza sistemica razzista e sessista”. [14]

È stato demotivante notare come l’indignazione e la reazione siano state determinanti solo quando un certo tipo di attacco ha toccato personalmente le “persone giuste”. Ciò distrugge la solidarietà tra attivist* per fare spazio ai personalismi. E questo è quello che è successo anche ad inizio 2020.
L’ex italian organizer aveva deciso di abbandonare AV proprio per l’uscita transfobica di cui si è già detto.
Alcun* di noi – tra cui chi scrive – erano fisicamente presenti quando è stata presa questa decisione. Tale persona ignorava le critiche nei confronti di AV e de* co-founder tacciando chi portava prove concrete a riguardo di aver “fabbricato prove false”. Con la dichiarazione transfobica arriva l’improvviso cambio di direzione e perdita di stima nei confronti di Paul, Asal e AV. Tutto perché amic* di una persona trans nonbinaria, e quindi toccat* nel personale.

La scissione di quel mese ha portato a due cambiamenti nel breve termine: l’inizio di processi di politicizzazione individuale per molte persone, e la formazione di un gruppo nato dalla scissione, Allies for Liberation (AxL).
AxL si rivela sin da subito una copia di AV vestita da gruppo politico, antispecista e intersezionale, o meglio “pro-intersezionale”, portando più ambiguità che chiarezza. [15]
Una facciata costruita da persone che ingenuamente non sapevano cosa significasse “gruppo politico” ed “intersezionalità”, cedendo spesso in uscite come “Questo non è un gruppo politico ma un gruppo di amici”. 
Il gruppo nascente seguiva esattamente la stessa scia di AV, semplicemente con un’estetica più accattivante. Le prassi erano le stesse, così come la coscienza politica. In seguito a vari problemi interni, lo stesso anno viene pubblicato un comunicato su AxL che invitiamo per completezza a recuperare. [16]
Sia chiaro che qui si parla di come è nato AxL quasi 4 anni fa. Ad oggi non abbiamo nessuna informazione riguardo alla formazione dei membri e alla struttura interna, perché il gruppo è poco attivo e solo in poche città italiane. Nonostante ciò abbiamo ritenuto importante riportare anche questa parentesi.

Alcune considerazioni
Uno degli aspetti principali – purtroppo assai diffuso nel mondo dell’attivismo vegan – è l’approccio antropocentrico e da “salvatori”. Gli animali non umani vengono spesso infantilizzati ed etichettati come senza voce dando una definizione letterale ed umana di cosa voglia dire avere una voce, o meglio cosa voglia dire “comunicare”. Le continue ribellioni che avvengono nei luoghi di sfruttamento; il rifiuto di farsi uccidere o sfruttare; animali schiavizzati che spesso uccidono i propri sfruttatori. Questi sono chiari esempi di animali che comunicano in tutti i modi la loro condizione di schiavi, e considerarli senza voce significa silenziarli ulteriormente. Riconosciamo che sia accattivante e facile posizionarsi come salvatori di una classe oppressa, ma sosteniamo che la lotta antispecista debba avere come sua naturale conseguenza il ridimensionamento del proprio ego, su tutti i fronti. Questa è una lotta che non tocca direttamente noi umani, per cui dobbiamo essere alleat*, non protagonist*.
Un quesito che vorremmo porre a chi segue la linea dell’animalismo apolitico e monotematico è: ma qual è la liberazione che vogliamo? Vogliamo una società plant-based o una società che si liberi dallo specismo e dall’antropocentrismo, che distrugga le gerarchie e i rapporti di dominio? Vogliamo degli animali non umani tutelati in spazi gestiti dall’umano o vogliamo intraprendere un percorso che favorisca la loro autodeterminazione e indipendenza?
Quello che ci sentiamo di dire è che un gruppo come AV, con tanta visibilità mediatica, non può più permettersi di continuare indisturbato a danneggiare il percorso antispecista. Siamo d’accordo sul fatto che ogni realtà territoriale possa avere differenze e che non tutti i capitoli e individualità debbano condividere la policy di AV, ma continuare a restare in AV e promuoverlo significa incarnare e divulgare i suoi valori, e da questo non ci si può esimere. 
È possibile costruire forme di attivismo senza l’ausilio di grandi loghi o nomi, che trascinano spesso con sé le loro problematiche, e formare gruppi territoriali indipendenti, autonomi e che agiscano in base alle varie situazioni territoriali. L’esigenza di sentirsi parte di un gruppo più grande è comprensibile e AV soddisfa pienamente questo bisogno, ma lo è ancora di più quella di prendere chiare posizioni senza lasciare ambiguità e ascoltare le persone che vengono attaccate da soggetti discriminanti, allontanando questi ultimi. 
Anonimx
Approfondimenti
Dossier CONOSCERLI PER ISOLARLI, ISOLARLI PER ELIMINARLI. La destra, più o meno estrema, in ambito ecologista e animalista in Italia (https://antispefa.noblogs.org/files/2016/02/Conoscerli-per-isolarli-antispefa-2016.pdf);
Anonymous for the Voiceless are trash (https://meatisweird.com/en/anonymous-for-the-voiceless-trash/);
Why We Need To Address White Supremacy in Veganism (https://brightzine.co/news/2021/1/16/why-we-need-to-address-white-supremacy-in-veganism);
– Jake Conroy ha dedicato al discorso molti contenuti validi (https://www.youtube.com/@thecrankyvegan/search?query=Anonymous%20for%20the%20voiceless)
– Accenno di un altro caso di molestie avvenuto nell’anno 2020 da parte di Alex Bez (conosciuto come Amazing Vegan Outreach) ai danni di un’attivista svizzera. Bez è stato ovviamente supportato da divers* attivist* di AV, e ad oggi continua indisturbato a fare il suo lavoro tenendo corsi di formazione sulla comunicazione in ambito attivista. (https://www.youtube.com/watch?v=-YfvxhymZ9A);
Note
[1] Paul lo dichiara all’inizio di questa intervista https://www.youtube.com/watch?v=2ohk6scR_ac.
[2] Qui un video ufficiale dell’IDF intitolato “L’esercito più vegano al mondo”, che ci aiuta ancora di più a comprendere come agisce il veganwashing in Israele: IDF: The Most Vegan Army in The World. (https://www.youtube.com/watch?v=LZ90BtnzJhE&pp=ygUJaWRmIHZlZ2Fu)
[3] Sul veganwashing di Israele si possono consultare due contributi importantissimi. Entrambi sono traduzioni di due scritti di PAL (Palestinian Animal League): Il primo è Israele, il veganwashing e la violenza sui Palestinesi (https://www.infopal.it/israele-il-veganwashing-e-la-violenza-sui-palestinesi/?fbclid=PAAaak4eUTcAYPVJutycC5Bu7v50JboQRE9wiXv-ZXOVpGlEby5bTtcJiAjRo); il secondo è Israele, la prima nazione al mondo ad applicare il vegan washing? (http://www.liberazioni.eu/wp-content/uploads/2019/10/PalestinianAnimalLeague-lib33.pdf), pubblicato sulla rivista Liberazioni. Inoltre è consigliabile la lettura dell’articolo scritto da Chris Hendrick, Veganwashing and the lie of vegan unity (https://www.collectivelyfree.org/veganwashing-the-lie-of-vegan-unity/).  
[4] Questo il video in questione: Gary Yourofsky is NOT a Hero (Response to “Palestinians, Blacks, and Other Hypocrites”) (https://www.youtube.com/watch?v=PS-QwqozaCM)
[5] Gary Yourofsky: Is The Backlash Warranted? (https://veganfeministnetwork.com/yourofsky_rape/ – le parole utilizzate sono molto forti)
[6] Rimandiamo al dossier sull’entrismo dei neofascisti nei gruppi animalisti italiani nella sezione “Approfondimenti”.
[7] Su AV è stato aperto un dossier – fermo al 2018 – chiamato Truth of Cube, consultabile nella sezione “Approfondimenti”,in cui vengono riportate esperienze da parte di persone che hanno avuto a che fare con Paul ed AV, e molti altri punti che non vengono toccati in questo testo.
[8] Possiamo vedere il cognome anagrafico di Paul nei resoconti ufficiali di Anonymous for the Voiceless Australia. https://www.acnc.gov.au/charity/charities/b3d1979d-952d-e911-a977-000d3ad064bd/people.
[9] Dichiarazione rilasciata al minuto 1:49:25 di questa diretta: https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=1831827816839440
[10] Minuto 1:40 del videoTRUTHOFCUBE https://youtu.be/zXE31XxNbVY.
[11] Per ricordare chi sono gli MRA ricordiamo il massacro del politecnico di Montréal del 1989 da parte dell’incel Marc Lépine. Lépine entrò armato e sparò a sole donne gridando “I hate feminists” [odio le femministe], uccidendone 14. 
[12] Sul registro delle no-profit australiane è possibile consultare i bilanci finanziari del marchio AV, almeno fino al 2021 (https://www.acnc.gov.au/charity/charities/b3d1979d-952d-e911-a977-000d3ad064bd/documents/);
[13] Da specificare che in questo momento Paul è in tour in Italia.
[14] In seguito alla scissione, questo è il comunicato pubblicato per chiarire il concetto di intersezionalità ancora ignorato ed osteggiato da alcuni gruppi animalisti: Risposta alla critica anti-intersezionale e chiarimenti sull’intersezionalità (https://radicalantispeciesism.wordpress.com/2020/04/07/risposta-alla-critica-anti-intersezionale-e-chiarimenti-sullintersezionalita/).
[16] Comunicato su Allies for Liberation: https://www.instagram.com/p/CgrpDJrHtrc/?img_index=1.